La storia che sto per raccontarvi inizia il 27 marzo del 1300, un sabato notte, centinaia di metri sottoterra, e finisce esattamente il 27 marzo del 2010, sempre un sabato notte, fra gli spalti dello stadio Olimpico di Roma. Ve la racconto oggi, non per puro caso. Oggi la Roma ha vinto il derby. Poi capirete perché.
Ma procediamo con ordine, una cosa dopo l’altra.
In quella notte di 710 anni fa, che era la notte del Sabato Santo, un uomo di nome Dante Alighieri si trovava nell’oltretomba da un paio di giorni e aveva appena finito il suo viaggio attraverso il cerchio più atroce di tutto l’inferno, quello dei traditori, accompagnato da Virgilio, suo grande maestro e ora guida di quest’avventura eccezionale.
Per chi non lo ricorda, il nono cerchio dell’inferno è qualcosa di profondamente diverso rispetto a tutto quello che Dante aveva visto fino a quel momento. I peccatori, che stanno conficcati nel ghiaccio, immobili e congelati, si sono macchiati di crimini talmente ripugnanti che per raccontare ciò che vede Dante deve cambiare il suo modo di scrivere per renderlo più spiacevole. Il nono cerchio dell’inferno rappresenta il massimo della degradazione umana. Ci stanno i traditori dei parenti, i traditori della patria, degli amici e dei benefattori.
E alla fine di tutto emerge dal ghiaccio a mezzobusto Lucifero che mastica i tre peggiori fra gli infami di tutti i tempi, Giuda che ha tradito il Messia, e Bruto e Cassio che hanno tradito Cesare, li mastica in continuazione, fino alla fine dei tempi, come se fossero tre chewingum giganti.
E’ ovvio che Dante nella sua storia ci poteva mettere solo i personaggi che erano vissuti fino ad allora. Per il Rinascimento ci avrebbe infilato qualche pittore, un poeta, un paio di turchi, se fosse arrivato fino ai giorni nostri nell’inferno ci sarebbero finiti Napoleone, Marx, Stalin e in paradiso probabilmente Papa Wojtyla e Madre Teresa.
Ho volutamente tralasciato qualcuno.
Ci sono tre persone, infatti, che si troverebbero al posto di quei chewingum giganti che Lucifero mastica per l’eternità. Tre persone che non hanno tradito la patria, gli amici o i benefattori. Peggio. Tre uomini, se li possiamo chiamare così, che hanno tradito la loro fede. L’unica fede che hanno, la più importante, la loro fede calcistica. Se Dante vivesse oggi, qui, ora mentre scrivo e guardo la capitale dalla finestra dell’ottavo piano e sembra che la Roma abbia vinto i mondiali e non un derby, se Dante fosse qui chissà cosa scriverebbe di chi tradisce la squadra perché ha paura di che cosa, poi, di un po’ di tifo avversario.
Il 27 marzo del 2010, qualche settimana fa, sempre di sera, sempre un sabato, allo Stadio Olimpico, tribuna Tevere laterale, a vedere Roma-Inter mischiati in mezzo a una folla di 72.000 anime quasi tutte di credo profondamente romanista c’erano Samuele Fattori, Guerrino Savioli e Gianni Valeriani, tifosi dell’Inter i primi due, della Juventus il terzo. C’erano tre vigliacchi che hanno cantato l’inno della squadra avversaria per paura di essere riconosciuti, che hanno saltato al grido di “chi non salta un interista è!”. I primi due, lo hanno fatto davanti alla loro squadra che giocava.
Non aggiungo altro, non ce la faccio a continuare. Ho scelto di inserire questo video scioccante che parla da solo. A un certo punto, nell’angolino in basso a sinistra, vedrete comparire una figura che canta Roma Roma Roma, core de ‘sta città più convinto di Antonello Venditti. Ecco, in realtà non state guardando Samuele Fattori detto Pistu, tifoso interista, mentre tradisce il suo Messia José Mário dos Santos Félix Mourinho.